SAN MARTINO: LA LUCE CHE NASCE DAL CUORE
Quando novembre avanza e la luce del giorno si ritira, la terra sembra respirare più lentamente. L’aria si fa sottile, le ombre più lunghe e i suoni più distanti.
È il momento in cui la natura tace e si ritrae nel silenzio che la avvolge.
È il tempo in cui l’uomo avverte che anche lui è chiamato a raccogliersi nella quiete che lo accarezza.
In questo spazio sospeso, tra la fine dei raccolti e l’attesa del freddo, ritorna ogni anno la festa di San Martino.
La leggenda racconta il gesto memorabile di Martino di Tours, un giovane soldato romano originario della Pannonia, un’antica regione compresa tra i fiumi Danubio e Sava, corrispondente all’odierna Ungheria occidentale. Un giorno, mentre prestava servizio ad Amiens, egli notò un mendicante tremante ai bordi della strada. Mosso da compassione, tagliò in due il suo mantello militare e ne condivise una parte con lui. Quella notte sognò Cristo avvolto proprio nella metà di quel mantello.
Successivamente si convertì al cristianesimo e nel 371 divenne vescovo di Tours. Morì l’8 novembre del 397 e la sua memoria liturgica fu fissata l’11 novembre, giorno in cui la terra e l’anima ancor oggi si preparano al lungo silenzio invernale.
Le giornate, in questo periodo, diventano spesso più miti e un dolce tepore avvolge ogni cosa. Si parla, infatti, di “estate di San Martino”, indicando quel breve ritorno di sole nel cuore dell’autunno, in ricordo del calore donato dal santo al povero.
L’immagine di Martino che divide il suo mantello è divenuta simbolo di luce e calore. È un gesto che attraversa il tempo e parla a ogni essere umano: dividendo ciò che si ha, si moltiplica ciò che si è. In quell’atto si concentra un’intera filosofia del vivere, la consapevolezza che la vera ricchezza non consiste nel possedere, ma nel donare. Il mantello diventa il segno tangibile di una luce morale, di un fuoco interiore che nessun inverno può spegnere.
Come in tutte le leggende, il significato non si esaurisce nel racconto, perché ciò che è accaduto fuori diventa effigie di un processo che può svolgersi dentro di noi.
Ciascuno è invitato a custodire la propria fiamma interiore, capace di brillare anche quando tutto sembra oscurarsi.
Camminare insieme, nella sera d’autunno, con le lanterne accese, diventa quindi una forma di meditazione in movimento, un piccolo rito di comunità che rammenta il senso profondo della luce. Essa non è dominio sull’oscurità, ma presenza nel buio.
La lanternata non cerca lo splendore, ma l’essenza. La luce fragile che accompagna i passi rappresenta ciò che nell’uomo resiste al gelo della paura e dell’indifferenza. Secondo Rudolf Steiner, fondatore dell’antroposofia, il corso dell’anno riflette i movimenti dell’anima umana. Se l’estate corrisponde all’apertura verso il mondo, l’inverno chiede un ritorno alla propria essenza.
In questa danza tra luce e tenebre, la festa di San Martino rappresenta una soglia spirituale. È il momento in cui la natura inizia a dormire, la luce esterna declina e l’anima deve imparare a vegliare. La luminosità non proviene più dal sole, ma dal sé. Così, come la natura si ritira per preparare nuove forze, anche l’essere umano è chiamato a un raccoglimento fecondo, preludio a una nuova primavera dello spirito.
La salute, in questa prospettiva, non è solo equilibrio del corpo, ma anche armonia tra interno ed esterno, tra luce e ombra, tra silenzio e azione.
La festa di San Martino diventa una cura sottile: il cammino con la lanterna, l’aria fresca che tocca il viso, il canto condiviso e la lentezza del gesto riconnettono l’uomo al respiro della vita. È un modo per guarire dal disordine del mondo attraverso il ritmo, dal rumore attraverso la calma e dall’isolamento attraverso la condivisione. La luce della lanterna non è una vittoria sulla notte, ma il tentativo di abitarla con dolcezza. Essa non cancella l’ombra, ma la rende ospitale. Ogni piccola fiamma insegna che il vero splendore non è possesso e conquista, ma dono e presenza. Il lume che oscilla nel vento è fragile, ma sufficiente a rischiarare il cammino. Così anche l’anima, quando si apre alla compassione, diventa capace di illuminare senza bruciare.
L’“estate di San Martino”, quel breve ritorno di calore nel cuore del freddo, è un invito a ricordare che anche nei tempi più rigidi della vita può emergere un tepore interiore. È come se la natura stessa, per un istante, riflettesse il gesto del santo, offrendo alla terra un mantello di sole per ricordarle che la luce non scompare, ma si trasforma.
San Martino insegna che dividere il proprio mantello è atto etico e accendere una lanterna è atto spirituale. Insieme, tali atti rappresentano la duplice vocazione dell’essere umano: fare e comprendere, amare e rischiarare.
In un mondo che teme la verità del buio e adora la finzione dell’illuminazione artificiale, dove tutto è visibile ma poco è visto, San Martino ci rammenta che la vera luce sta dentro. È silenziosa e calda. Non acceca, ma rivela. Non grida, ma consola. È la luce che nasce dal cuore e che, come il mantello, può essere sempre divisa perché nel donarla nulla si perde e tutto rinasce.
Forse, nel silenzio di una sera di novembre, mentre una piccola fiamma oscilla al vento, possiamo ricordare che la vera salute nasce dal custodire la propria luce con attenzione e gentilezza.
Riflessione scritta: Luce e Cura
La luce interiore è una presenza viva al centro più profondo dell’essere umano.
Non abbaglia, ma accompagna e ascolta, modulando il proprio ritmo sui pensieri, sulle emozioni e sulle parole, dette e taciute. Può vacillare o ritirarsi, ma non si spegne mai del tutto.
Prendersi cura di questa luce significa coltivare attenzione, ritmo e armonia tra interiorità e azione, senza possederla o dominarla.
Platone indicava la dedizione all’anima come via per cogliere la verità.
Rudolf Steiner sosteneva che il benessere nasce dall’equilibrio tra ciò che brilla all’interno e ciò che agisce nel mondo esterno.
La luce può essere immaginata come una fiamma viva. Riflettere su ciò che la nutre o la affievolisce (pensieri, gesti, silenzi, contatti con gli altri) aiuta a comprenderne il ritmo e la relazione con il mondo esterno.
Si può scrivere un testo dal punto di vista della luce stessa, guidati dalle seguenti domande:
Quali elementi la nutrono?
Quali la indeboliscono?
Quale ritmo manifesta?
Come si relaziona con le azioni nel mondo esterno?
Come si cura nella vita quotidiana?
Al termine, si consiglia di rileggere quanto scritto senza giudizio.
Riconoscere e coltivare questa luce significa entrare in contatto con un principio vitale capace di illuminare e riscaldare senza invadere.
Valentina Adiutori
