NUTRIRE LA VITA: IL CIBO COME RESPONSABILITÀ ETICA

Oggi il mondo celebra la giornata mondiale dell’alimentazione, nata per ricordare l’anniversario della fondazione della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, istituita a Québec il 16 ottobre 1945.

Questa ricorrenza mira a sensibilizzare sulle problematiche della povertà, della fame e della malnutrizione, sulla sicurezza alimentare e sull’importanza di seguire diete sane e sostenibili. Vuole riaffermare un principio tanto semplice quanto disatteso: il diritto al cibo è un diritto umano che nutre la vita prima ancora del corpo, non una concessione che maschera la disuguaglianza sotto il velo della carità.

Eppure, in un tempo che si dice civile, milioni di persone non riescono a nutrirsi in modo adeguato. Non perché non vogliano, ma perché la fame le ha rese invisibili. Non hanno voce, non possono chiedere né sperare. Tutti sembrano ascoltarle, ma nel frastuono delle coscienze il silenzio vince ancora.

Viviamo su un pianeta che produce abbastanza, ma in cui dilaga la fame, poiché a mancare è la giustizia. Il mondo è attraversato da un ossimoro crudele: chi non può mangiare e chi non riesce a smettere.

Da un lato vi sono corpi svuotati che chiedono nutrimento; dall’altro corpi che si consumano nell’abbondanza, divorati da disturbi alimentari, ansie e specchi deformanti. Da una parte una fame fisica, dall’altra una fame di senso.

Il vuoto dello stomaco e il vuoto dell’anima diventano assenze che si rispondono come un’eco, delineando i contorni di due volti, quello visibile della privazione e quello invisibile dell’eccesso. Essi hanno tratti estremamente diversi, ma sono accomunati da una stessa ferita: la perdita della misura, del vero equilibrio. L’uomo moderno non può o non sa saziarsi. Chi ha nulla cerca il pane e chi ha troppo vuole il vuoto.

Filosoficamente, quest’immagine rivela la crisi di un mondo disorientato, che ha smarrito la direzione verso un’esistenza piena e non può riconoscersi poiché ha perso la capacità di riconoscere l’altro.

Chi sperimenta la povertà non trova vita, chi sperimenta la ricchezza non trova quiete. C’è chi è schiavo della mancanza e chi dell’abbondanza e, in ambo i casi, non si possiede la libertà del corpo e la pace dell’anima.

Sono due declinazioni dello stesso male, l’incapacità di nutrirsi davvero, di abitare quel gesto come incontro, relazione e gratitudine. Il cibo è divenuto specchio delle nostre contraddizioni, mera merce, arma e ossessione.

Eppure, dovrebbe restare ciò che è sempre stato, un atto sacro di cura reciproca.

Come sosteneva il filosofo Emmanuel Lévinas, l’etica nasce dal volto dell’altro, soprattutto quando questo volto si rivela nella sua nudità e nella sua fame. Infatti, la vera umanità può emergere quando l’io, disarmato, si apre all’alterità, non per negarsi, ma per comprendersi nel dialogo.

Nell’epoca attuale siamo tutti estremamente vulnerabili e quel volto affamato si riflette anche in chi, pur sazio, è ferito da un vuoto simbolico. Forse oggi quell’altro non vive soltanto lontano, ma anche accanto a noi o dentro di noi, in chiunque non sappia sentire il sapore.

In un mondo lacerato dalla sete di potere, dove il desiderio di dominio si erge a principio sovrano e la vita viene incessantemente offesa, negata e distrutta, il cibo permane come simbolo originario di nutrimento e continuità.

Thanatos e Bios continuano a intrecciarsi nel dramma dell’esistenza e a ciascun uomo è affidata la scelta più radicale: abitare il mondo come dominatore o diventandone il custode. Questa scelta esige autenticità, poiché è vano proclamarsi custodi mentre si perpetuano conflitti che profanano la terra e annientano ogni creatura. Non si può parlare di cura mentre si semina distruzione, né di pace mentre si alimenta la logica della guerra. Ogni atto di violenza smentisce la parola, ogni vittima interroga la coscienza.

Celebrare questa giornata, dunque, è un invito a guardare nel piatto ma, soprattutto, dentro di noi con immensa gratitudine e consapevolezza, per spezzare il rumore del silenzio e interrompere il ciclo degli errori che la storia ci chiede di riconoscere.

Perché il cibo, atto di cura e fonte di salute e benessere, riflette la responsabilità etica di coltivare e onorare l’esistenza nella sua fragile e preziosa bellezza.

 

                                                                                                           Valentina Adiutori

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